PAPA FRANCESCO AI PRETI A BOLOGNA

PAROLE DEL SANTO PADRE – Cattedrale di San Pietro (Bologna) – Domenica, 1° ottobre 2017
La fraternità nella vita dei preti è una esigenza evangelica.


La diocesanità.
Noi non possiamo giudicare la vita di un presbitero diocesano senza domandarci come vive la diocesanità. E la diocesanità è una esperienza di appartenenza: tu appartieni a un corpo che è la diocesi. Questo significa che tu non sei un “libero”, come nel calcio, non sei un libero – nel calcio amatoriale c’è il libero –. No, non sei un “libero”. Sei un uomo che appartiene a un corpo, che è la diocesi, alla spiritualità e alla diocesanità di quel corpo; e così è anche il consiglio presbiterale, il corpo presbiterale. Credo che questo lo dimentichiamo tante volte, perché senza coltivare questo spirito di diocesanità diventiamo troppo “singoli”, troppo soli con il pericolo di diventare anche infecondi o con qualche… – diciamolo delicatamente – nervosismo, un po’ innervositi per non dire nevrotici, e così un po’ “zitelloni”. E’ il prete solo, che non ha quel rapporto con il corpo presbiterale. “Vae soli!”, dicevano i Padri del deserto (cfr Ecclesiaste 4,10 Vulg.), “guai a chi è solo”, perché finirà male.
Il clericalismo
Ma inoltre c’è il popolo di Dio, che non entra nel collegio presbiterale, ma entra nella Chiesa diocesana. E vivere la diocesanità è anche viverla col popolo di Dio. Il sacerdote deve domandarsi: com’è il mio rapporto col popolo santo di Dio? E lì c’è un brutto difetto, un brutto difetto da combattere: il clericalismo. Cari sacerdoti, noi siamo pastori, pastori di popolo, e non chierici di Stato… Il nostro clericalismo è molto forte, molto forte; e ci vuole una conversione grande, continua per essere pastori. Abbiamo finito di leggere – non so se anche nella Liturgia italiana, perché io continuo con il Breviario argentino – il De pastoribus [di sant’Agostino] nell’Ufficio delle Letture, e lì si vede chiaramente che Agostino ci fa vedere com’è un pastore, ma non uno clericale, un pastore di popolo, che non vuol dire un populista, no, pastore di popolo, cioè vicino al popolo perché è stato inviato lì a far crescere il popolo, a insegnare al popolo, a santificare il popolo, ad aiutare il popolo a trovare Gesù Cristo. Invece, il pastore che è troppo clericale assomiglia a quei farisei, a quei dottori della legge, a quei sadducei del tempo di Gesù: soltanto la mia teologia, il mio pensiero, quello che si deve fare, quello che non si deve fare, chiuso lì, e il popolo è là; mai interloquire con la realtà di un popolo…
La sinodalità
Il pastore deve avere un rapporto – e questa è sinodalità – un triplice rapporto con il popolo di Dio: stare davanti, per far vedere la strada, diciamo il pastore catechista, il pastore che insegna la strada; in mezzo, per conoscerli: vicinanza, il pastore è vicino, in mezzo al popolo di Dio; e anche dietro, per aiutare quelli che rimangono in ritardo e anche a volte per lasciare al popolo di vedere – perché sa, “annusa” bene popolo –, per vedere quale strada scegliere: le pecorelle hanno il fiuto per sapere dove ci sono i pascoli buoni. Ma non solo dietro, no. Muoversi nelle tre [posizioni]: davanti, in mezzo e dietro. Un bravo pastore deve fare questo movimento.
Il carrierismo.
Ci sono due “pesti” forti: questa è una. Gli arrampicatori, che cercano di farsi strada e sempre hanno le unghie sporche, perché vogliono andare su. Un arrampicatore è capace di creare tante discordie nel seno di un corpo presbiterale. Pensa alla carriera: “Adesso finisco in questa parrocchia e mi daranno un’altra più grande…”. E’ interessante: l’arrampicatore, quando finisce in una e il vescovo gliene dà un’altra non tanto “alta”, più “bassa”, si offende. Si offende! “Ma no: a me tocca quella!”. Non ti tocca niente, a te tocca soltanto il servizio. Le cose dobbiamo dirle così, chiaramente. Gli arrampicatori fanno tanto male all’unione comunitaria del presbiterio, tanto male, perché sono in comunità ma fanno così per andare avanti loro.
Il chiacchiericcio
L’altro vizio frequente è il chiacchiericcio. “Ma quello…” – “Hai visto questo…” – “Si dice di questo…” – “Si dice di questo…”. E la fama del fratello prete viene sporcata, finisce sporcata, la fama si rovina. Distruggere la fama degli altri. Il chiacchiericcio è un vizio, un vizio “di clausura”, diciamo noi. Quando c’è un presbiterio dove ci sono tanti uomini con l’anima chiusa, c’è il chiacchiericcio, sparlare degli altri. “Ti ringrazio, Signore, perché non sono come gli altri, e neppure come quel pubblicano” (cfr Lc 18,11), “grazie a Dio che non sono come quello!”. Questa è la musica del chiacchiericcio, anche del chiacchiericcio clericale. L’arrampicamento e il chiacchiericcio sono due vizi propri del clericalismo.