AREZZO – DON ANTONIO BACCI E’ TORNATO ALLA CASA DEL PADRE

Addio a don Antonio Bacci, il prete del blog e delle antiche strade

Don Antonio BACCI

La diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro è in lutto. Domenica 14 aprile 2019 dopo una lunga malattia è salito alla casa del padre don Antonio Bacci, parroco di Ruscello, profondo e appassionato conoscitore di storia della Chiesa e di storia locale. Le esequie sono state celebrate martedì 16 aprile 2019 nella Cattedrale di Arezzo.

Figura molto amata e vicina al cuore della gente per il suo impegno pastorale e culturale. Tra le sue tante attività è stato docente all’istituto superiore di scienze religiose “Beato Gregorio X” di Arezzo, autore di numerosi studi e pubblicazioni, tra i quali si ricordano il suo saggio dedicato a Badia San Veriano, gli approfondimenti sulle insorgenze anti-napoleoniche del “Viva Maria”, il suo contributo alla riscoperta della figura di Giulio Salvadori a Monte San Savino, fino ad arrivare più di recente alle ricerche storiche sui Sinodi della diocesi di Arezzo e a riflessioni sull’attualità come nel suo ultimo volume dal titolo “Dacci oggi il nostro post quotidiano”.

Accanto al suo impegno di sacerdote animato da una grande fede, don Antonio era anche conoscitore di musica. Cresciuto nel noto gruppo corale “Francesco Coradini” di Arezzo. 

Un elenco che potrebbe continuare a lungo e che spesso è stato documentato dalla nostra emittente con interviste e riprese ai tanti convegni nei quali è stato coinvolto il sacerdote. Era anche un socio attento e partecipe dell’UAC.

Chissà come avrebbe raccontato la sua morte: di sicuro in modo diretto, un po’ com’era di carattere e un po’ come amava scrivere. Sì, don Antonio Bacci se ne è andato: lui, il parroco con il comodino diviso tra il breviario e i libri di storia. Un sorriso ficcante, la battuta sempre pronta e anche se a volte sembrava deluso che la capisse soltanto lui. Un’intelligenza viva, di quelle che erano diventate non solo la memoria storica della diocesi ma anche la sferzata provocatoria su tanti temi.

Aveva quasi 74 anni, li avrebbe compiuti a ottobre: e soprattutto era ad un passo dal cinquantesimo anniversario della sua ordinazione. Le nozze d’oro, uno di quegli appuntamenti che i sacerdoti amano vivere insieme ai loro compagni di seminario. Li avrebbe festeggiati a giugno, la malattia non gliene ha dato il tempo. E pensare che a quella malattia aveva strappato giorni, settimane, anni.

Una battaglia silenziosa, anche se di carattere non amava il silenzio neanche in classe, quando insegnava: ma affrontata con il sorriso sulle labbra. La sua forza erano la fede e la curiosità, che lo portava ad appassionarsi alle cose più diverse. Una parte della sua avventura è raccontata dai libri. Ne aveva scritti tanti, alcuni perfino a sorpresa.

Perché magari ti aspetti da un «parroco-storico» che racconti le bellezze delle chiese aretine, a cominciare da Badia San Veriano alla quale aveva dedicato uno dei suoi primi volumi, mentre ti aspetti poco che si occupi di Facebook.

Non lo amava, anzi ne detestava il linguaggio sincopato che spesso fa a pezzi l’italiano più puro. Però ne fece anche un libro, «Dateci il nostro post quotidiano», dissacrante e ironico come sempre. Poi aveva prestato la penna alla storia del Viva Maria, ai grandi sinodi aretini, in testa quello incompiuto del Vescovo Cioli. Aveva tratteggiato come nessuno era riuscito a fare la figura di Giulio Salvadori ma anche lo sviluppo della viabilità attraverso i secoli.

Aveva anche firmato un libro sulle grandi donne aretine: lui si era occupato di Santa Margherita, un altro personaggio che amava, anche nei suoi contorni umani. Era rimasto parroco di Ruscello, anche se le ultime fasi della malattia lo avevano tenuto lontano dalla sua gente. Ma continuava a progettare e immaginare.

Docente per anni all’Istituto di scienze religiose, insegnava Storia della chiesa: non era facilissimo prendere appunti, saltava in un secondo da un secolo all’altro. Seguendo collegamenti quasi invisibili, un po’ come a volte le sue battute. Un personaggio scoppiettante. Al quale la chiesa aretina dirà domani addio: alle 10 in Cattedrale. Tra il breviario e un libro di storia.

E la sua passione infinita lo aveva portato a scrivere perfino poesie, in rima antica: spesso ironizzando su come l’italiano stesse scomparendo, affogato anche dalla prosa un po’ sincopata dei social, e come quindi ci fosse bisogno di recuperare quello di una volta. Erudizione e divertimento, ricerca storica e passione. Erano alcune delle coordinate di una vita, che comunque era stata soprattutto incardinata sulle parrocchie e sul suo impegno ecclesiale.

E anche sull’insegnamento. In particolare aveva insegnato a lungo Storia della Chiesa in seminario, formando i nuovi preti e anche quanti sarebbero diventati insegnanti di religione.

Dal 2008 aveva un blog e il suo nick name era Amicus Plato. Il suo volume sull’Antica Viabilità Aretina è una pietra miliare nella conoscenza della storia del territorio. Ma don Antonio aveva colto il grande valore e le potenzialità delle strade sulla Rete. Centinaia e centinaia di post in oltre dieci anni, l’ultimo su Tommaso d’Aquino lo scorso gennaio. Lo faceva, disse, per dare un contributo alla verità, alla scoperta di se stessi. Pensieri, musica, riflessioni, poesie, battute, anche pasquinate. Una raccolta che esprime la gioia per la vita. La fede. Messaggi anche profondi divulgati in modo accessibile a tutti.

Un distillato di post lo aveva trasformato in libro, nel 2016, dal titolo particolare: “Dacci oggi il nostro post quotidiano – Poesie e prose in tempo di internet”.

Brillante ed eclettico, ha portato il suo contributo nel mondo della scuola e della cultura. Tra i lavori, oltre a quello del 1998 sulla viabilità aretina antica, saggi sul Petrarca e sul Viva Maria. 

Nella pagina di presentazione del suo blog, don Antonio aveva scritto:

“Sono uno che ricerca la verità e che non si accontenta di wikipedia. Se dici che la verità non esiste, sbagli, perché ne hai già affermata una. Se poi dici che la ricerca della verità non ti interessa, allora non te la prendere troppo quando qualcuno ti vuole ingannare.”